CAMPO GRAFICO
1933/1939

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CAMPO GRAFICO 1933/1939

RIVISTA DI ESTETICA E DI TECNICA GRAFICA

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Nasce una nuova professione

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L’amico Marco Picasso mi chiede di formulare, in occasione del numero 1000 di Graphicus, un ricordo della rivista Campo Grafico, che con Graphicus ha sempre avuto una leale unità di intenti. Accetto molto volentieri, perché anche di Campo Grafico, nato nel 1933, si celebra quest’anno un anniversario di tutto rispetto.

Esattamente settanta anni fa nasceva Campo Grafico di cui usciva il primo numero nel mese di gennaio del 1933. Un numero di rottura, di polemica forte con il linguaggio tipografico conformista imperante. L’antagonista, il “nemico”, anche se non citato direttamente, era Raffaello Bertieri, direttore di Risorgimento Grafico, uomo di grande personalità e cultura tipografica, ma rivolto al passato. Già dal primo numero di Campo Grafico esplicito e si dichiara, nell’articolo di apertura, come una rivista “tecnico-dimostrativa” e preannuncia la pubblicazione, che avverrà costantemente, di numerosi e pratici esempi stampati, eseguiti con concetti estetici definiti per far conoscere, presso le tipografie, “le moderne possibilità e i nuovi linguaggi dell’arte grafica” (ricordiamo che il mestiere del grafico non esisteva ancora).

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Da sinistra a destra:
La copertina del secondo numero è firmata da Carlo Dradi e Attilio Rossi con un linguaggio fortemente pittorico che rinconduce alla pietra litografica.

Questa composizione del Bauhaus è al centro della copertina del novembre 1934.

La copertina del gennaio 1938 riesce a combinare la semplicità di una "non copertina" con una elegante impaginazione dell'editoriale.​​​​​​​

1933: nasce la grafica moderna
La formula stessa della rivista è particolarmente innovativa e geniale, un gruppo di iniziatori, molti dei quali sappiamo essere compagni di scuola dell’Umanitaria, ai quali si aggiungeranno rapidamente molti altri(1), imposta la realizzazione pratica su basi assolutamente rivoluzionarie con un rapporto di “libera e cordiale collaborazione operaia”. Gli intenti sono chiarissimi nel primo editoriale intitolato Scopi Semplici: “Campo Grafico si differenzierà dalle consorelle riviste di mole superiore e obbligate ad una forma fissa, per la sua originale concezione; manterrà un numero limitato di pagine in modo da permettere un cambiamento completo d’impaginazione e di copertina ogni numero”.
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Così le copertine, come anche gli stampati più popolari o snobbati dell’Arte del Libro, diventano una palestra di esercitazioni professionali, “libere e aperte a tutti i grafici desiderosi di portare il loro contributo inviando progetti che verranno pubblicati subordinatamente ad un giudizio della Direzione”. Con questi intendimenti parte la rivista e le copertine ne sono la facciata più emblematica proprio perché erano sollecitate e aperte a tutti. Tanto che molti progettisti, che figurano nei primi anni, non compaiono nell’elenco dei fondatori, come Luigi Oriani, Mario Perondi, Giovanni Broggi, Enrico Kaneclin, Rodolfo Asti.

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Da sinistra a destra:
​​​​​​​La copertina del dicembre 1934 è la prima copertina fotografica realizzata dallo studio Boggeri.

Forse involontariamente, la copertina fotografica di Battista Pallavera, realizzata su fotografia dello studio Renner dell'aprile 1935, ripercorre la grafica di regime, associando la produzione industriale, tipografica in questo caso, alla produzione agricola di sapore autarchico.
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Nel settembre 1935 il nazionalismo giunge anche a Campo Grafico, con una copertina decisamente patriottica.

Palestra di esercitazioni
Un esempio per tutti è Luigi Veronesi, che non figura tra i fondatori, ma è stato uno dei collaboratori di punta fino a ricoprire, verso la fine, il ruolo di direttore. Ricordo che quando lo andai a trovare nel suo studio per un’intervista-chiacchierata su Campo Grafico mi parlò delle copertine che aveva progettato “senza alcun compenso, ma con molto entusiasmo”, dove aveva sperimentato e variamente visualizzato tutte le sue tematiche artistiche. Del resto, già nel primo numero del 1933 c’è un esperimento di fotomontaggio, firmato DRP (Dradi, Rossi, Pallavera).

 Qui Carlo Dradi e Attilio Rossi, la coppia di progettisti da poco composta, si avvalgono della professionalità di un valente fotoritoccatore Battista Pallavera che firmò successivamente una sua seconda copertina, sempre in fotomontaggio (n. 4 – 1935) integrando l’intervento con un suo articolo esplicativo su questa tecnica di grande effetto grafico. Così come il secondo numero, sempre del 1933, è un vero e proprio esperimento di riproduzione, gli autori, sempre Dradi-Rossi si rivolgono ad Alfredo De Pedrini per risolvere il problema. “A scopo dimostrativo il secondo numero conteneva un inserto fotolitografico e un articolo tecnico sulla fotolito. Un libro trasformato in aratro fu il soggetto che gli autori prepararono per la copertina. 

Per i toni rosso-bruni, neri e grigio-azzurri di questa copertina, vi furono critiche e accuse di “sironismo” da parte degli amici della Galleria del Milione. I laboratori fotolitografici erano ancora agli inizi e se la fotolito rappresentava un risparmio di tempo e di denaro rispetto alla cromolitografia su pietra, le difficoltà tecniche di una riproduzione fotolitografica erano ancora superiori rispetto agli zinchi tricromici di tipografia. 

Alcuni fotolitografi, ex cromisti su pietra, poiché il disegno per la copertina presentava difficoltà di riproduzione, opposero il loro rifiuto. Si ricorse allora ad Alfredo De Pedrini, il quale aveva adottato con successo il procedimento della fotolito diretta, al posto di quella indiretta a mezzo cartoni. Alfredo De Pedrini prestò con molto entusiasmo la propria collaborazione e da quel giorno divenne un prezioso amico di Campo Grafico. Il campista Ezio Michelotti ottenne di stampare gratuitamente la copertina presso la ditta Turati e Lombardi.”(2)

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Da sinistra a destra:
Nel maggio 1936 Luigi Veronesi propone una copertina elegante in solo un VI in caratteri romani tradisce le tendenze dell'epoca.

Nell'ottobre 1937, Dradi e Rossi dedicano la copertina al raduno poligrafico di Milano.

Una splendida sintesi tipografica di Remo Muratore nella semplice copertina del maggio 1938.

Sei anni di forza d’urto
Così la carrellata di 66 numeri (dal 1933 al 1939) mostra tendenze artistiche varie e complesse, ma tutte di indiscutibile interesse: dal semplice uso del materiale di cassa tipografica di Luigi Minardi, alle xilografie di Luigi Veronesi; dal collage tipografico di Luigi Oriani, alla rigorosa composizione astratta di Alberto Gennari; dalla composizione a tempera di Vordembege Gildevart, alla composizione puramente tipografica Remo Muratore; dal fotomontaggio di Grete e Horacio Coppola, al collage a colori di Atanasio Soldati. 

Vorrei chiudere questo carosello con le parole decise di Attilio Rossi dal testo del Catalogo edito dalla Electa Editrice (1983) in occasione della mostra alla Biblioteca Sormani di Milano. “In conclusione noi siamo istati gli autentici protagonisti di un’opera di rinnovamento e abbiamo fatto, come si dice, tutto con la nostra mente e le nostre mani, per cui il nostro lavoro e i nostri scritti hanno assunto un’autenticità e una forza d’urto spesso superiori alle più eleganti e informate disquisizioni di Modiano e perfino di Persico, solo per quello che concerne la tipografia, naturalmente, e crediamo non sia immodestia affermare questa nostra priorità troppo spesso ignorata”.

Massimo Dradi
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Note:
(1)Il primo nucleo dei “Campisti” che diede vita alla rivista è così composto: Carlo Baldini, Enrico Bona, Eligio Bonelli, Giovanni Brenna, Pasquale Casonato, Carlo Dradi, Natale Felici, Luigi Ferrari, Luigi Ghiringhelli, Luigi Laboni, Carlo Lanzani, Giovanni Mazzucotelli, Ezio Michelotti, Luigi Minardi, Romano Minardi, Achille Moreo, Luigi Negroni, Battista Pallavera, Giovanni Peviani, Giovanni Pirondini, Ricciardi, Attilio Rossi, Giuseppe Scotti, Loris Ticinelli, Umberto Zani.

(2)Carlo Dradi, Millenovecentotrentatre: nasce a Milano la grafica moderna. Pubblicazione a cura dell’Ufficio Stampa del Comune di Milano – settembre 1973.

Nota del redattore:
Questo articolo, redatto dal figlio di uno dei fondatori e tra i massimi artefici di quell’esperimento di innovazione che fu Campo Grafico negli anni Trenta, vuole essere al contempo un omaggio dovuto da Graphicus nel settantesimo anniversario della fondazione di quella rivista, e anche un completamento necessario alla ricerca condotta dalla dottoressa Sara Sartorio pubblicata nell’articolo che precede. La redazione di Graphicus ringrazia l’Autore per la cortese disponibilità e per aver voluto far dono a Graphicus di un documento inedito di Carlo Dradi “sotto le armi”, che riportiamo di seguito.
Come è noto, Campo Grafico cessò le pubblicazioni nel 1939 dopo la promulgazione delle Leggi Razziali e l’esilio di Attilio Rossi in Argentina.
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«GRAPHICUS mille»
N. 1000, Settembre 2003

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Birth of a new profession

On the occasion of the 1000th issue of Graphicus, my friend Marco Picasso asked me to write an account of the magazine Campo Grafico, with which Graphicus always shared a close unity of aims. I accepted wilingly, especially as it is significant anniversary for Campo Grafico as well.

Campo Grafico was launcehd exactly seventy years ago, with the first issue appearing in 1933. It marked a sharp and polemical break with the prevailing, conformist typographic language.
The antagonist, the ‘enemy’, though never directly identified, was Raffaello Bertieri, editor of Risorgimento Grafico, a major figure steeped in typography but very much backwards looking.
Right from the first issue of Campo Grafico the line was clear. The opening article declared that the magazine would be a “technical demonstration” and it announced that it would publish a constant succession of practical examples of printed matter laid out in accordance with well defined aesthetic concepts to demonstrate to printers, “the modern possibilities and the new languages of the graphic arts” (remember, the trade of the graphic designers did not the exist in Italy).

1933: Modern Graphic is born
The very formula of the magazine is particularly innovative and ingenious, a group of initiators, many of whom we know to be schoolmates from the Umanitaria, to which many others were soon to be added(1), set the practical realisation on absolutely revolutionary foundations with a relationship of ‘free and cordial worker collaboration’. The intentions are made very clear in the first editorial called Scopi Semplici: ‘Campo Grafico will differ from its companion magazines that are larger in size and obliged to have a fixed form, due to its original conception; it will maintain a limited number of pages so as to allow a complete change of layout and cover every issue’.

Thus the covers, as well as the more popular or neglected Art of the Book prints, became a gymnasium for professional exercises, ‘free and open to all graphic designers wishing to make their contribution by sending in projects that would be published subject to the judgement of the editors’. The magazine was launched with these intentions and the covers are its most emblematic aspect precisely because they were solicited and open to all. So many designers, who appear in the early years, do not appear in the list of founders, such as Luigi Oriani, Mario Perondi, Giovanni Broggi, Enrico Kaneclin and Rodolfo Asti.

Practice Gymnasium
One example for all is Luigi Veronesi, who was not one of the founders, but was one of the leading collaborators until, towards the end, he took on the role of director. I remember that when I visited him in his studio for a conversation/interview on Campo Grafico, he told me about the covers he had designed ‘without any remuneration, but with great enthusiasm’, where he had experimented and variously visualised all his artistic themes. Moreover, already in the first issue of 1933 there is an experiment in photomontage, signed DRP (Dradi, Rossi, Pallavera).

Here Carlo Dradi and Attilio Rossi, the newly composed design duo, availed themselves of the professionalism of a talented photo retoucher, Battista Pallavera, who later signed a second cover of his own, again in photomontage (no. 4 - 1935), integrating the intervention with an explanatory article of his own on this technique of great graphic effect. Just as the second issue, also from 1933, is a true reproduction experiment, the authors, again Dradi-Rossi turned to Alfredo De Pedrini to solve the problem. ‘For demonstrative purposes, the second issue contained a photolithographic insert and a technical article on photolithography. A book turned into a plough was the subject the authors prepared for the cover. 

For the red-brown, black and grey-blue tones of this cover, there was criticism and accusations of ‘sironism’ from friends of the Galleria del Milione. Photolithographic workshops were still in their beginnings and if photolithography represented a saving of time and money compared to chromolithography on stone, the technical difficulties of a photolithographic reproduction were still greater than with the trichromatic zinks of typography. 

Some photolithographers, previously stone chromolithographers, refused because the design for the cover presented difficulties in reproduction. They then turned to Alfredo De Pedrini, who had successfully adopted the process of direct photolithography, instead of indirect photolithography using cardboards. Alfredo De Pedrini enthusiastically lent his cooperation and from that day on became a valued friend of Campo Grafico. Ezio Michelotti, which was a campista, obtained free printing of the cover at the Turati and Lombardi company.'(2)

Six years of striking force
Thus the collection of 66 issues (from 1933 to 1939) shows various and complex artistic trends, but all of unquestionable interest: from Luigi Minardi's simple use of typographic case material, to Luigi Veronesi's xylographies; from Luigi Oriani's typographic collage, to Alberto Gennari's rigorous abstract composition; from Vordembege Gildevart's tempera composition, to Remo Muratore's purely typographic composition; from Grete and Horacio Coppola's photomontage, to Atanasio Soldati's colour collage. 

I would like to close this carousel with Attilio Rossi's decisive words from the text of the Catalogue published by Electa Editrice (1983) on the occasion of the exhibition at the Sormani Library in Milan. ‘In conclusion, we have been the authentic protagonists of a work of renewal and we have done, as they say, everything with our minds and our hands, so that our work and our writings have taken on an authenticity and a force of impact often superior to the most elegant and informed disquisitions of Modiano and even Persico, only as far as typography is concerned, of course, and we believe it is not immodest to affirm this priority of ours that is too often ignored’.

Massimo Dradi
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Notes:
(1)The first nucleo of ‘Campisti’ that gave life to the magazine is composed as follows: Carlo Baldini, Enrico Bona, Eligio Bonelli, Giovanni Brenna, Pasquale Casonato, Carlo Dradi, Natale Felici, Luigi Ferrari, Luigi Ghiringhelli, Luigi Laboni, Carlo Lanzani, Giovanni Mazzucotelli, Ezio Michelotti, Luigi Minardi, Romano Minardi, Achille Moreo, Luigi Negroni, Battista Pallavera, Giovanni Peviani, Giovanni Pirondini, Ricciardi, Attilio Rossi, Giuseppe Scotti, Loris Ticinelli, Umberto Zani.

(2)Carlo Dradi, Millenovecentotrentatre: the birth of modern graphics in Milan. Published by the Milan City Council Press Office - September 1973.
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Editor's note:
This article, written by the son of one of the founders and greatest creators of the innovative experiment that was Campo Grafico in the 1930s, is intended to be both a tribute owed by Graphicus on the 70th anniversary of the founding of that magazine, and also a necessary complement to the research conducted by Dr Sara Sartorio published in the article above. The editorial staff of Graphicus would like to thank the author for his kind availability and for having donated to Graphicus an unpublished document by Carlo Dradi ‘under arms’, which we reproduce below.
As is well known, Campo Grafico ceased publication in 1939 after the promulgation of the Racial Laws and Attilio Rossi's exile to Argentina.

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