CAMPO GRAFICO
1933/1939

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CAMPO GRAFICO 1933/1939

RIVISTA DI ESTETICA E DI TECNICA GRAFICA

12 JAN 2023

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LINEA GRAFICA: INTERVISTA A GIOVANNI BAULE

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DOPO GLI INIZI DELLA RIVISTA, FONDATA E DIRETTA DA CARLO DRADI NEL 1946 – COME IDEALE CONTINUITÀ DEL FENOMENO CAMPO GRAFICO – LINEA GRAFICA VIVE DIVERSE VICISSITUDINI FINO ALL’ULTIMO PERIODO DIRETTO DA GIOVANNI BAULE, DAL 1985 AL 2008, ANNO DELLA CHIUSURA.

L’associazione Campo Grafico intervista Giovanni Baule, per raccontarci la sua esperienza che, tra le altre cose, ha portato – insieme a Vando Pagliardini – al premio Compasso d’Oro, nel 1987.

Come introduzione all’intervista, pubblichiamo integralmente l’editoriale del primo numero di Linea Grafica del nuovo corso di Baule:

Lineagrafica è una testata storica. Sulle sue pagine si sono alternati in passato i contributi più autorevoli di chi ha fatto la grafica in Italia. Oggi Lineagrafica si rinnova in profondità. Per confermarsi strumento indispensabile agli operatori delle comunicazioni visive e in tutti quegli ambiti in cui la grafica è oggetto di informazione e cultura, di studio e di lavoro.

Linegrafica è una rivista ‘di settore’, ma va ben oltre il campo di interessi dei soli ‘addetti ai lavori’. Lineagrafica è ‘espositore’ dei prodotti della comunicazione visiva di tipo grafico. Privilegia le esperienze e le culture della grafica ‘made in Italy’. È contenitore non acritico, non ‘di tendenza’ ma ‘delle’ tendenze, di chi fa la grafica oggi.

Lineagrafica parla di immagine coordinata, grafica dei caratteri, grafica tridimensionale, grafica editoriale, grafica di pubblica utilità, grafica cinetica e computer graphic, fotografia per la grafica, illustrazione per la grafica…
Lineagrafica percorre il filo del dibattito-palese o sommerso sulla produzione di visual design nella società multimediale.

Con nuovi qualificati contributi e con il nuovo impegno editoriale si intende garantire la continuità e la puntualità di una voce di primo piano nel campo delle comunicazioni visive.

Gaetano Grizzanti intervista Giovanni Baule (12 gennaio 2023): 

GG-01:
Grazie Giovanni della tua gentile disponibilità per questa chiacchierata. Parto col chiederti qual è la tua estrazione.


GB-01:
Di formazione sono architetto ma confesso che già durante l’università avevo vari interessi, tra cui gli audiovisivi, la fotografia e la progettazione grafica in generale. Tutti elementi che comunque erano collegati tra loro. Quindi non provengo in senso stretto da una formazione grafica, ma per quegli anni era abbastanza normale vedere architetti che deviavano verso la comunicazione visiva.

Visti i miei interessi, rivolti già sul fronte della grafica e delle comunicazioni visive, mi occupavo di fotografia, cinema, della primissima televisione via cavo così come della formazione in quest’ambito e dell’editoria di settore; e iniziai a lavorare come progettista con il mio Unistudio, fondato nel 1984 insieme a Vando Pagliardini. 

Vando firmò il progetto grafico di Linea Grafica e il mio ruolo era principalmente quello di direttore responsabile. Il mestiere di grafico con tutte le implicazioni dell’art-direction l’ho imparato sul campo, come spesso si usava a quei tempi, da autodidatta, frequentando professionisti e futuri professionisti con i quali peraltro avevo avuto rapporti già nella Facoltà di Architettura.


GG-02:
Come è nata l’intenzione di lavorare a Linea Grafica?

GB-02:

Non potendo io stesso fare riferimento a una formazione grafica specifica, mi resi conto che non c’erano strumenti adeguati utili a ragionare sugli artefatti della progettazione grafica. Le pochissime riviste estere, come per esempio Novum Gebrauchsgraphik, esponevano prodotti grafici internazionali con un minimo apparato critico e in Italia gli strumenti di riflessione erano ancora più scarsi. 

Probabilmente i tempi erano maturi e, praticamente in parallelo con la rivista “Grafica” di AIAP del 1984, si affermava il bisogno di pensare alla professione, alla formazione, alla questione associativa e di ripensare alla divulgazione critica per la costruzione della disciplina.


GG-03:
Come iniziò esattamente questa avventura?

GB-03:

Hai detto bene, un’avventura in tutti i sensi. L’occasione nacque dal fatto che il nuovo editore di Linea Grafica – Azzurra Editrice – avendone formalmente acquisito la testata nel 1984, venne da noi in studio per chiederci di rifare il progetto grafico della rivista, che doveva ripartire col primo numero a gennaio del 1985, con periodicità bimestrale.

A quel punto, tenendo presente che si trattava di una piccolissima casa editrice costituita appositamente per pubblicare Linea Grafica, mi proposi di ripensare l’insieme del progetto editoriale orientandolo in una direzione ben precisa, sentendo viva l’esigenza di un mezzo che in qualche modo rilanciasse il dibattito sulla grafica e la messa a fuoco di alcuni temi della progettazione in questo campo.


GG-04:
Com’erano caratterizzati gli anni immediatamente precedenti la tua direzione?

GB-04:

Negli anni Settanta fino ai primi anni Ottanta Linea Grafica attraversò diverse vicissitudini, sotto diverse forme proprietarie, appoggiandosi economicamente su un tipo di inserzionisti rivolti al mondo della produzione e della prestampa, impostando una rivista prevalentemente tecnica con alcuni contributi relativi al progetto grafico.

Questo vincolo pubblicitario in parte è stato affrontato con la “mia” Linea Grafica, affidandoci a quel mercato, che adesso è decisamente ridotto, di strumenti per i grafici (come pennarelli, trasferibili ecc.), virando quindi dal mondo tipografico a quello legato al mestiere di grafico.

Avevamo a disposizione una scatola vuota, da riempire in qualche modo, quindi oltre a costruire l’involucro, l’immagine del contenitore, ci siamo occupati anche del contenuto. La scelta era quella di continuare come rivista prevalentemente tecnica oppure farla evolvere, appunto, come avevo proposto, verso il mondo del progetto.

Avendo già contribuito a diverse testate, a Ottagono per esempio, con articoli sul design grafico, visto che il mercato editoriale non offriva molto sul progetto grafico, la mia direzione fu accolta in modo naturale, lasciandomi carta bianca. Fortune che capitano qualche volta.


GG-05:
Io, quegli anni, li ho in mente molto bene, visto che professionalmente iniziai nel 1986, praticamente con la tua Linea Grafica. Come ricordi tu quei tempi?

GB-05:

Era un’epoca che, se guardata da una prospettiva attuale, risulterebbe curiosa. Gli strumenti di comunicazione e divulgazione sui temi della comunicazione visiva, dovendo azzerare tutto il digitale, erano limitati alla carta stampata. 

Oggi su Internet vediamo tutto di tutti, in una vorticosa circolazione di materiali e informazione, mentre a quei tempi, per l’autoformazione e l’informazione, le opportunità erano decisamente limitate: poche mostre sul tema e al massimo potevi girare per gli studi di grafica, anche se con logiche restrizioni.

Detto questo, sono per riconoscere le stagioni storiche e le loro peculiarità; mi interessa infatti questo lavoro che stai svolgendo tu, di collegamento della storia delle riviste che si sono susseguite nel nostro Paese, a partire da Il Risorgimento Grafico nella prima metà del ‘900, con a sua perorazione in favore della tipografia classica, e Campo Grafico, con la rivoluzione del nuovo mestiere di progettista negli anni Trenta del secolo scorso. 

Probabilmente oggi una rivista cartacea non sarebbe più uno strumento sufficiente, almeno non per una significativa circolazione di materiali accompagnata da un approfondimento critico. Le piattaforme oggi sono diverse e numerose e cambiano di conseguenza anche il mondo della formazione.


GG-06:
Cosa pensi di questo ritorno di interesse sulla tipografia a caratteri mobili, al letterpress, alla carta stampata, da parte di molti giovani, che si osserva in Italia e nel mondo della grafica in generale?

GB-06:

Per i meno giovani penso sia una questione di semplice nostalgia, certamente anche legata a una cultura dei materiali. Per i giovani, questo ritorno di interesse alla matericità – che per loro è una cosa nuova – credo risponda al bisogno di accreditarsi attraverso le fondamenta del mestiere di grafico ripercorrendo il modus-operandi dei loro predecessori, ma anche per non perdere quella componente di arte manuale che, anche se in parte ridotta, resiste nel nostro mestiere.

Personalmente già a suo tempo ho tentato con Linea Grafica di guardare avanti, puntando a un superamento dei confini della grafica esclusivamente legata alla stampa gutenberghiana, sentendo nell’aria l’affermarsi di nuovi linguaggi e di nuovi supporti, per esempio finalizzati alla grafica cinetica a ridosso del digitale. 

Il passaggio, sancito dalla Carta del Progetto Grafico era proprio nella direzione di un ampliamento del mestiere, simile a quello dei Campisti quando operarono per l’estensione dei supporti e degli artefatti del sistema grafico-comunicativo rispetto alla visione libro-centrica di Bertieri.


GG-07:
Qual è stato il ruolo in Linea Grafica, nel settore, prima e durante la tua direzione?

GB-07:

L’obiettivo iniziale fu quello di costruire un pensiero storico-critico sul graphic design, che poi è andato nella direzione di una migliore identificazione della disciplina. 

Nel divulgare e nell’analizzare la valenza grafica di singoli progetti, credo che questo ruolo si sia via via confermato, individuando il territorio della grafica italiana sia come sapere progettuale in sé sia in rapporto con gli altri saperi ad essa contigui. 

Partendo dalle mie origini trasversali e ampiamente ibride, il problema fu quello di mettere a fuoco la collocazione del progetto grafico ma, di conseguenza, anche quello relativo a un’estensione terminologica. 

Non a caso l’espressione ‘comunicazione visiva’, che all’epoca sembrava la più aperta possibile, ha funzionato come primo passaggio per marcare il ruolo del progettista verso una sua più ampia funzione registica. 

Ne è una conferma il coinvolgimento di diversi attori nel quadro delineato dalla Carta del Progetto Grafico, con la collocazione della grafica al centro di molti saperi e come campo allargato, dalla fotografia al multimediale. 

Inoltre, un obiettivo sostenuto, e poi effettivamente realizzatosi, fu quello di traghettare tutte le competenze del progetto grafico nel mondo nuovo del digitale. Ritengo che con questa funzione storica, grazie alla sua sensibilità, Linea Grafica sia stata testimone e protagonista dell’avanzare delle nuove tecnologie negli anni ‘90.


GG-08:
Linea Grafica, grazie al lavoro tuo e di Vando Pagliardini, ha ricevuto il Compasso d’Oro nel 1987. Questo riconoscimento ha aiutato a migliorare la risonanza a livello internazionale?

GB-08:

Nonostante la distribuzione avesse i limiti propri di una rivista di settore, Linea Grafica era conosciuta dagli esperti di questo ambito non solo nel nostro Paese, e questo è stato utile per ribadire il ruolo della grafica italiana. 
Basti pensare che nei momenti migliori – gli inizi degli anni ’90 – la rivista ha contato su una tiratura vicino alle diecimila copie, numero considerevole per una testata specializzata.

Alcune operazioni hanno poi contribuito alla notorietà di Linea Grafica, partendo dalla traduzione in inglese dei testi così come la presenza in contesti internazionali. 
Un esempio in questo senso, la giuria del concorso grafico per il manifesto dell’Expo di Siviglia nel 1992: un comitato scientifico con tutti i rappresentanti delle altre riviste internazionali, oltre ai maggiori professionisti del momento, tra cui ricordo con piacere Massimo Vignelli.
 
In quelle situazioni ci si trovava a discutere non soltanto dei lavori in gara ma anche dei punti di vista e delle diverse culture di riferimento delle riviste coinvolte, accreditando di fatto Linea Grafica come riferimento italiano del progetto grafico. 


GG-09:
Adesso ti pongo una domanda, anche se sicuramente un po’ troppo generalizzante: dove sta andando la grafica oggi?

GB-09:

Mettendo insieme gli elementi di cui si parlava, quell’allargamento di campo che viene da non troppo lontano e l’area sempre più articolata dei sistemi informatici, la grafica diventa sempre più una disciplina che, conservando radici passate, è generatrice di una sensibilità estesa, sia sul piano applicativo sia su quello metodologico. 

È come se la cultura del progetto grafico si disponesse all’attraversamento di un mare sempre più vasto. Di conseguenza cresce il ruolo professionale e il futuro è, e sarà, caratterizzato prima di tutto da una formazione d’alto livello. 
In tal senso, se devo aggiungere un altro obiettivo cui Linea Grafica ha dato un contributo è stato quello di rendere disponibili elementi base, documentali, storici e culturali per la formazione. 

Nel futuro del progettista grafico vedo un profilo di questo genere: in grado di governare progettualmente tutti i dispositivi possibili, visto che determinate consapevolezze metodologiche fanno parte delle nostre radici, tramite una sensibilità in grado di rilanciare di continuo verso prototipi inediti.


GG-10:
Guardando allora alla professione, oggi c’è una sorta di demonizzazione nei confronti della grafica svolta per conto delle aziende, spesso etichettata come “commerciale”. Secondo te è possibile fare “buona” grafica rispettando etica ed esigenze del committente, come avveniva 50 anni fa a opera dei vari Pintori, Tovaglia, Confalonieri, Noorda ecc.?

GB-10:

Secondo me sarebbe auspicabile. Effettivamente è un paradosso: oggi viene riconosciuta l’importanza storica e di mercato del valore di un marchio e di una marca, ma non sempre si riconosce il fatto che attraverso un’operazione di qualità del design si possa accrescere ulteriormente il valore di un’impresa: un investimento che non è solo verso l’impresa stessa o verso la comunità del settore grafico. 

Un segnale risiede proprio nella recente ricostruzione degli archivi di certe aziende, come nel caso de La Rinascente, che ricompone i propri materiali precedentemente dispersi.

Inoltre nel design, per sua natura, non ci sono due tempi, prima l’ideazione del prodotto e la comunicazione come atto successivo; oggi a maggior ragione, le due cose devono procedere contestualmente, all’interno di un processo comune, come peraltro è avvenuto in passato nei migliori dei casi.

Ricordo una presentazione fatta di fronte a un pubblico assolutamente misto al Museo Campari – in occasione di una ricchissima mostra dei materiali di Depero – dove emergeva con nettezza, nelle aziende storiche, il riconoscimento del valore della comunicazione ideata in parallelo all’invenzione del prodotto.


GG-11:
Quindi qual è la ricetta giusta per mantenere alta la qualità del design, oltre alla funzione strategica, e preservare pari dignità sul piano progettuale e culturale, rivalutando l’opera svolta per il mondo dell’impresa?

GB-11:

Prendendo sempre come esempio il lavoro svolto da Depero insieme al Cavalier Campari – che hanno inventato contemporaneamente il prodotto e il suo involucro, il nome, il marchio, la comunicazione di sistema – direi che per preservare qualità e cultura del progetto andrebbero ridotti alcuni passaggi tipici soprattutto nelle grandi agenzie, dove tra committente e art-director si (im)pone l’account: anche nei casi di un forte impegno progettuale, risulta di non facile soluzione la traduzione indiretta della domanda di progetto, una sorta di passaparola nell’intermediazione tra il committente e i progettisti. 

Per evitare questo difficile passaggio traduttivo, che mette in gioco una catena di soggetti che parlano ‘lingue’ diverse, sarebbe ottimale ricercare un rapporto il più diretto possibile tra responsabili del prodotto e progettista. 

Il buon design italiano è nato proprio da quella formula che metteva direttamente in connessione progettista e imprenditore, una modalità oggi aggiornabile ma ancora realistica.

Ricordo all’ADI – nel periodo in cui sono stato nel Comitato Direttivo, dove erano compresenti noti designer e imprenditori – come venivano evocati incontri e scontri tra progettisti e aziende, protagonisti entrambi di un dialogo altamente dialettico. 

Perché le competenze del designer non si riferiscono solo al progetto grafico come semplice risposta a una domanda, ma anche alla capacità di ascoltare, mettere in discussione le richieste del committente e di rilanciare soluzioni e visioni. 

Sarebbe insomma fondamentale costruire una condivisione tra le parti con il minimo di intermediazione.


GG-12:
Immaginando di scrivere una Carta Etica del progetto grafico per il mondo dell’impresa – anche estrapolando alcune parti dalla Carta del Progetto Grafico del 1989 – quali dovrebbero essere oggi, a più di trent’anni di distanza, i punti principali?

GB-12:

Sicuramente molti punti possono essere ripresi, perché ancora validi e pertinenti per il mondo del progetto. Ma soprattutto sarebbe fondamentale, da parte dell’impresa, sostenere il proprio interesse per il design e la sua metodologia, riconoscendo al design l’attributo di valore aggiunto all’impresa e al prodotto.

La ricerca e la formazione tecnico-critica rimangono comunque le basi per la qualità da entrambe le parti: formazione dei progettisti e formazione delle imprese attorno ai paradigmi della cultura del progetto.


GG-13:
Rispetto alla tua esperienza di Linea Grafica, che ti ha coinvolto in prima persona per ben 22 anni – iniziata nel 1985 e conclusasi a giugno del 2007 – cambieresti qualcosa?

GB-13:

Tornando indietro si potrebbe cambiare quasi tutto! Ma, battute a parte, riconoscendo i limiti oggettivi, avremmo potuto fare ancora meglio: le stesse cose, magari, ma con altri mezzi: numeri con una maggiore foliazione, un coinvolgimento di collaboratori internazionali… 

Ma in merito alla linea editoriale considero per gran parte raggiunti gli obiettivi iniziali. Dopo aver rilevato personalmente la testata nel 2007, avrei certo potuto continuare le pubblicazioni; ma alla fine l’avventura di Linea Grafica è andata a esaurirsi anche per una scelta precisa: sondate le opportunità, ho ritenuto concluso un ciclo, una stagione della comunicazione della cultura del progetto, oltre che mia personale.

Giovanni Baule
Laureato in architettura, già ordinario di Disegno industriale e docente di Design della comunicazione presso il Politecnico di Milano. La sua ricerca è orientata ai metodi del progetto dei sistemi di comunicazione. Si occupa di critica e storia del Design della comunicazione ed è stato responsabile di progetti di ricerca e formazione nell'ambito della sperimentazione di nuovi artefatti comunicativi. Numerose le pubblicazioni in quest’ambito. Dal 1985 al 2008 è stato direttore della rivista Linea Grafica per la quale gli è stato riconosciuto il XIV Premio Compasso d'Oro. Dal 1990 al 1996 ha assunto anche la direzione della rivista AREA Rivista per la cultura del progetto in architettura, design, comunicazione visiva (segnalazione al XVI Premio Compasso d’Oro). È autore e promotore con Elena Caratti del Manifesto Design è Traduzione, Franco Angeli 2016 (Menzione d’onore al XXV Premio Compasso d’oro). Dirige la collana Design della comunicazione per Franco Angeli Editore.

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LINEA GRAFICA: INTERVIEW WITH GIOVANNI BAULE

AFTER THE JOURNAL'S BEGINNINGS, FOUNDED AND EDITED BY CARLO DRADI IN 1946 – AS AN IDEAL CONTINUATION OF THE CAMPO GRAFICO PHENOMENON – LINEA GRAFICA EXPERIENCED VARIOUS UPS AND DOWNS UNTIL THE LAST PERIOD DIRECTED BY GIOVANNI BAULE, FROM 1985 TO 2008, THE YEAR IT CEASED PUBLICATION.

The Campo Grafico association interviews Giovanni Baule, who shares his experience which, among other things, led him and Vando Pagliardini to win the Compasso d'Oro award in 1987.

As an introduction to the interview, we publish the entire editorial from the first issue of Linea Grafica of Baule's new course:

Lineagrafica is a historic publication. In the past, its pages have featured the most authoritative contributions from those who have shaped graphic design in Italy. Today, Lineagrafica is going through a radical renewal. It aims to confirm its status as an indispensable tool for visual communication specialists and in all those fields where graphic design is a subject of information and culture, study and work.

Linegrafica is a ‘trade’ journal, but it goes far beyond the field of interest of ‘insiders’ alone. Lineagrafica is a ‘showcase’ for graphic visual communication products. It focuses on the experiences and cultures of ‘made in Italy’ graphic design. It is not uncritical, not ‘trendy’ but ‘of’ trends, of those who do graphic design today.

Lineagrafica discusses corporate identity, typeface design, three-dimensional graphics, editorial graphics, public service graphics, kinetic graphics and computer graphics, photography for graphics, illustration for graphics, and more.
Lineagrafica follows the thread of the open or hidden debate on visual design production in multimedia society.

With new qualified contributions and a new editorial commitment, the aim is to ensure the continuity and timeliness of a leading voice in the field of visual communications.

Gaetano Grizzanti interviews Giovanni Baule (January 12, 2023):

GG-01:
Thank you, Giovanni, for kindly agreeing to this interview. Let me start by asking you about your background.

GB-01:

I have an education in architecture, but I confess that even during college I had various interests, including audiovisuals, photography, and graphic design in general. All of these elements were connected to each other. So, strictly speaking, I don't come from a graphic design background, but in those years it was quite normal to see architects diverging toward visual communication.

Because of my interests, which were already focused on graphics and visual communications, I worked in photography, cinema, early cable television, as well as training in this field and publishing. I started working as a designer with my company Unistudio, which I founded in 1984 with Vando Pagliardini. 

Vando was responsible for the graphic design of Linea Grafica, and my role was mainly that of editor-in-chief. I learned the graphic design profession, with all the implications of art direction, on the job, as was often the case in those days, as a self-taught person, frequenting professionals and future professionals with whom I had already had relationships in the Faculty of Architecture.


GG-02:
How did the idea of working on Linea Grafica come about?

GB-02:

Not having any specific training in graphic design myself, I realized that there were no adequate tools for thinking about graphic design artifacts. The very few foreign magazines, such as Novum Gebrauchsgraphik, presented international graphic products with minimal critical commentary, and in Italy, tools for reflection were even fewer and farther between. 

The time was probably ripe and, practically in parallel with the AIAP magazine Grafica in 1984, there was a growing need to think about the profession, training, and the issue of associations, and to rethink critical dissemination for the construction of the discipline.


GG-03:
How exactly did this adventure begin?

GB-03:

You're right, it was an adventure in every sense of the word. The opportunity arose when the new publisher of Linea Grafica – Azzurra Editrice – having formally acquired the magazine in 1984, came to our studio to ask us to redesign the magazine, which was due to relaunch with its first issue in January 1985, published every two months.

At that point, bearing in mind that it was a very small publishing house set up specifically to publish Linea Grafica, I proposed to rethink the entire editorial project, orienting it in a very specific direction, feeling a strong need for a medium that would somehow relaunch the debate on graphic design and focus on certain design issues in this field.


GG-04:
What were the years immediately preceding your editorship like?

GB-04:

In the 1970s and early 1980s, Linea Grafica went through various vicissitudes, under different owners, relying financially on advertisers in the world of production and pre-press, and producing a mainly technical magazine with some articles on graphic design.

This advertising limitation was partly addressed with “my” Linea Grafica, relying on the now significantly reduced market for graphic design tools (such as markers, transfers, etc.), thus shifting from the world of typography to that of graphic design.

We had an empty box to fill in some way, so in addition to building the packaging, the image of the container, we also took care of the content. The choice was to continue as a predominantly technical magazine or to evolve it, as I had proposed, towards the world of design.

Having already contributed to various publications, such as Ottagono, with articles on graphic design, and given that the publishing market did not offer much on graphic design, my direction was naturally accepted, leaving me complete freedom. These are the kinds of opportunities that sometimes arise.


GG-05:
I remember those years very well, since I started my career in 1986, essentially at the same time with your Linea Grafica. How do you recall those times?

GB-05:

It was a time that, looking back from today's perspective, seems rather curious. The tools for communication and dissemination on the subject of visual communication, having to start from scratch with digital technology, were limited to printed paper. 

Today, we can see everything about everyone on the Internet, in a whirling circulation of materials and information, whereas in those days, opportunities for self-education and information were very limited: there were few exhibitions on the subject and, at best, you could visit graphic design studios, even if with logical restrictions.

That said, I recognize the historical periods and their peculiarities; I am interested in the work you are doing, linking the history of magazines that have followed one another in our country, starting with Il Risorgimento Grafico in the first half of the 20th century, with its advocacy of classical typography, and Campo Grafico, with the revolution of the new profession of designer in the 1930s. 

Today, a print magazine would probably no longer be a sufficient tool, at least not for the significant circulation of materials accompanied by critical analysis. Today's platforms are different and numerous, and the world of education is changing accordingly.


GG-06:
What do you think about this renewed interest in letterpress printing, movable type, and printed paper among many young people, which can be observed in Italy and in the world of graphic design in general?

GB-06:

For older people, I think it's simply a matter of nostalgia, certainly linked to a culture of materials. For young people, this renewed interest in materiality—which is something new for them—I believe responds to the need to gain credibility through the fundamentals of the graphic design profession, retracing the modus operandi of their predecessors, but also so as not to lose that component of manual artistry which, although reduced, still persists in our profession.

Personally, I already tried with Linea Grafica to look ahead, aiming to overcome the boundaries of graphics exclusively linked to Gutenberg printing, sensing the emergence of new languages and new media, for example aimed at kinetic graphics close to digital. 

The transition, established by the Graphic Design Charter, was precisely in the direction of expanding the profession, similar to that of the Campisti when they worked to extend the media and artifacts of the graphic-communication system beyond Bertieri's book-centric vision.


GG-07:
What was your role at Linea Grafica, in the area, before and during your time as director?

GB-07:

The initial goal was to develop a historical-critical approach to graphic design, which then led to a better identification of the discipline. 

In spreading awareness and analyzing the graphic value of individual projects, I believe that this role has gradually been confirmed, identifying the field of Italian graphic design both as design knowledge in itself and in relation to other related fields of knowledge. 

Starting from my cross-disciplinary and largely hybrid origins, the problem was to focus on the positioning of graphic design but, consequently, also on its terminological extension. 

It is no coincidence that the expression ‘visual communication’, which at the time seemed as open as possible, served as a first step in marking the role of the designer towards a broader directing function. 

This is confirmed by the involvement of various actors in the framework outlined by the Graphic Design Charter, with graphics placed at the center of many fields of knowledge and as an expanded field, from photography to multimedia. 

Furthermore, a goal that was supported and then effectively achieved was to bring all the skills of graphic design into the new world of digital technology. I believe that with this historical function, thanks to its sensitivity, Linea Grafica was a witness and protagonist of the advancement of new technologies in the 1990s.


GG-08:
Thanks to your work and that of Vando Pagliardini, Linea Grafica received the Compasso d'Oro award in 1987. Did this recognition help to improve its international reputation?

GB-08:

Although distribution was limited to a specialized journal, Linea Grafica was known by experts in this field not only in our country, and this was useful in reaffirming the role of Italian graphic design. 
Suffice it to say that in its heyday—the early 1990s—the magazine had a circulation of nearly 10,000 copies, a considerable number for a specialized publication.

A number of initiatives contributed to Linea Grafica's reputation, starting with the translation of the texts into English and its presence in international contexts. 
One example of this was the jury for the graphic design competition for the Seville Expo poster in 1992: a scientific committee with representatives from all the other international magazines, as well as the leading professionals of the time, among whom I fondly remember Massimo Vignelli.
 
In those situations, we found ourselves discussing not only the works in competition but also the different points of view and cultures of the magazines involved, effectively accrediting Linea Grafica as the Italian benchmark for graphic design. 


GG-09:
Now I'm going to ask you a question, even if it's certainly a bit too general: where is graphic design headed today?

GB-09:

Putting together the elements we were talking about, that expanding field that is not too far away and the increasingly complex area of computer systems, graphic design is increasingly becoming a discipline that, while preserving its past roots, generates an extended sensitivity, both in terms of application and methodology. 

It is as if the culture of graphic design were preparing to cross an ever-wider sea. As a result, the professional role is growing and the future is, and will be, characterized first and foremost by high-level training. 
In this sense, if I had to add another goal to which Linea Grafica has contributed, it would be that of making basic, documentary, historical, and cultural elements available for education. 

I see the future of the graphic designer as follows: capable of managing all possible devices in terms of design, given that certain methodological awareness is part of our roots, through a sensitivity capable of continuously relaunching towards new prototypes.


GG-10:
Looking at the profession today, there is a sort of demonization of graphic design carried out on behalf of companies, often labeled as “commercial.” In your opinion, is it possible to create “good” graphic design while respecting ethics and the client's needs, as was the case 50 years ago with various designers such as Pintori, Tovaglia, Confalonieri, Noorda, etc.?

GB-10:

In my opinion, it would be desirable. It is indeed a paradox: today, the historical and market importance of the value of a brand and a trademark is recognized, but the fact that a high-quality design can further increase the value of a company is not always recognized: an investment that is not only for the company itself or for the graphic design community. 

One sign of this is the recent reconstruction of the archives of certain companies, such as La Rinascente, which is recomposing its previously scattered materials.

Furthermore, in design, by its very nature, there are no two phases, first the conception of the product and then communication as a subsequent act; today, more than ever, the two must proceed simultaneously, within a common process, as has been the case in the past in the best instances.

I remember a presentation made in front of a very mixed audience at the Campari Museum—during a rich exhibition of Depero's materials—where it was clear that historic companies recognized the value of communication designed in parallel with product invention.


GG-11:
So what is the right formula for maintaining high design quality, in addition to strategic function, and preserving equal dignity in terms of design and culture, while reevaluating the work done for the business world?

GB-11:

Taking once again the example of the work carried out by Depero together with Cavalier Campari—who simultaneously invented the product and its packaging, name, brand, and communication system—I would say that in order to preserve the quality and culture of the project, certain typical steps should be reduced, especially in large agencies, where the account manager imposes itself between the client and the art director: even in cases of strong design commitment, the indirect translation of the design request, a sort of word of mouth in the intermediation between the client and the designers, is not easy to solve. 

To avoid this difficult translation process, which involves a chain of subjects who speak different ‘languages’, it would be best to seek the most direct relationship possible between product managers and designers. 

Good Italian design was born precisely from that formula that directly connected designers and entrepreneurs, a method that can be updated today but is still realistic.

I remember at ADI—during the period when I was on the Executive Committee, where well-known designers and entrepreneurs were present—how meetings and conflicts between designers and companies were evoked, both protagonists of a highly dialectical dialogue. 

This is because the designer's skills do not only relate to graphic design as a simple response to a request, but also to the ability to listen, question the client's requests, and propose solutions and visions. 

In short, it would be essential to build a shared understanding between the parties with a minimum of intermediation.


GG-12:
If we were to write an Ethical Charter for graphic design in the business world—perhaps drawing on parts of the 1989 Graphic Design Charter—what would be the main points today, more than thirty years later?

GB-12:

Many points could certainly be revisited, as they are still valid and relevant to the world of design. But above all, it would be essential for businesses to support their interest in design and its methodology, recognizing design as an added value to the business and the product.

Research and technical-critical training remain the basis for quality on both sides: training designers and training businesses around the paradigms of design culture.


GG-13:
Looking back on your experience at Linea Grafica, where you worked for 22 years—from 1985 to June 2007—would you change anything?

GB-13:

Looking back, you could change almost everything! But, joking aside, recognizing the objective limitations, we could have done even better: the same things, perhaps, but with other means: issues with more pages, the involvement of international contributors... 

But in terms of editorial policy, I consider the initial objectives to have been largely achieved. After personally taking over the magazine in 2007, I could certainly have continued publishing it, but in the end, the Linea Grafica adventure came to an end, partly due to a conscious decision: after exploring the opportunities, I felt that a cycle had come to an end, a season of communication about design culture, as well as my own personal journey.

Giovanni Baule
Graduated in architecture, he was formerly professor of industrial design and lecturer in communication design at the Politecnico di Milano. His research focuses on methods for designing communication systems. He is involved in the critique and history of communication design and has been responsible for research and teaching projects in the field of experimentation with new communication artifacts. He has numerous publications in this field. From 1985 to 2008, he was editor-in-chief of the magazine Linea Grafica, for which he was awarded the XIV Compasso d'Oro Prize. From 1990 to 1996, he also served as editor-in-chief of AREA Rivista, a magazine dedicated to culture in architecture, design, and visual communication (nominated for the XVI Compasso d'Oro Prize). He is the author and promoter, together with Elena Caratti, of the Manifesto Design è Traduzione (Design is Translation), Franco Angeli 2016 (honorable mention at the XXV Compasso d'Oro Award). He edits the Design della comunicazione (Communication Design) series for Franco Angeli Editore.

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